GOVERNANZA E RILANCIO DELLA STRATEGIA DI LISBONA - Sud in Europa

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GOVERNANZA E RILANCIO DELLA STRATEGIA DI LISBONA

Archivio > Anno 2005 > Giugno 2005

di Giandonato CAGGIANO (Associato di DIritto internazionale nell'Università degli Studi Roma Tre    
Con il recente rilancio di metà-percorso del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, la Strategia di Lisbona ha assunto un assetto più integrato di governanza (termine che, nella versione italiana dei documenti comunitari, sta prendendo il posto di governance, utilizzato nel Libro bianco della Commissione piuttosto che il dantesco governazione proposto da Mario Telò - L’Europa potenza civile, Bari, 2004 - uno dei maggiori conoscitori della questione).
Le novità di maggiore visibilità politica sono certamente: la previsione di un unico piano nazionale annuale che, in maniera relativamente sintetica, consenta di valutare i progressi settoriali nella sua attuazione (da preparare entro il 15 ottobre 2005) e la nomina di Mister Lisbona, un responsabile della Strategia per ciascuno Stato membro. Il Governo italiano ha già nominato l’On Giorgio La Malfa, Ministro per le politiche comunitarie pro tempore.
Nell’Unione europea, la garanzia della stabilità macroeconomica può venire tanto dal Patto di stabilità e crescita della cui riforma tutti si interessano, quanto da riforme dei sistemi nazionali, di cui si interessano più blandamente i decisori nazionali. Riforme promosse e coordinate con il concorso di tutti gli Stati europei che si realizzino in un punto di massimo equilibrio tra liberalizzazione del mercato e garanzie sociali (la terza via europea). Una stabilità macroeconomica a due gambe può rilanciare l’occupazione, promovendo la transizione verso un’economia europea competitiva basata sulla conoscenza.
Il cantiere di Lisbona 2010 non è alternativo al processo per la ratifica del Trattato-Costituzione. Si tratta piuttosto di un processo di medio-lungo termine, che può portare, tramite il coordinamento delle politiche nazionali, ad una condivisione di valori e modelli di società, preliminari ad una successiva costituzionalizzazione dei settori ai quali non si è ancora espanso il metodo comunitario. Infatti, il processo riguarda prevalentemente proprio le azioni di sostegno, di coordinamento o di complemento (articolo I-17 Trattato - Costituzione). Com’è noto, gli atti giuridicamente vincolanti adottati dall’Unione in quei settori, che restano nella competenza degli Stati membri, non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri. Si tratta pertanto di un processo strutturato, basato prevalentemente su soft-law, che non esclude però l’emanazione di atti vincolanti, qualora sussista la relativa base giuridica (ad es. in materia di mercato e servizi o proprietà industriale). Proprio per l’esistenza di basi giuridiche diverse non esiste una contabilità ufficiale degli atti vincolanti che sono stati per così dire attratti dal processo di Lisbona, ma si tratta di circa settanta direttive e di qualche regolamento.
Infatti, nella Strategia di Lisbona, il metodo di lavoro di coordinamento aperto della politica dell’occupazione (processo di Lussemburgo), si è espanso e consolidato progressivamente, nei processi di Colonia (macroeconomia) e di Cardiff (riforme economiche), nelle politiche dello stato sociale (istruzione e formazione, previdenza, sanità, inclusione sociale), nei settori della competitività (mercato, ricerca, società dell’informazione, imprenditorialità, alcuni aspetti della fiscalità), nella più ampia cornice dell’azione comunitaria per la sostenibilità ambientale.
Dal punto di vista della governanza, il Consiglio europeo ha deciso di rilanciare la Strategia, prevedendo, tra l’altro, l’emanazione di linee integrate per il coordinamento delle politiche economiche e per la strategia per l’occupazione (raccomandazioni della Commissione sugli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità, ex art. 99 TCE; decisioni del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione, su proposta della Commissione ex art. 128 TCE). L’adozione formale delle linee direttrici integrate rientra nella competenza, rispettivamente, del Consiglio ECOFIN e del Consiglio EPSCO. Entro il 15 ottobre 2005, gli Stati membri “definiranno sotto la loro responsabilità programmi di riforma nazionali tenendo conto delle loro esigenze e della loro situazione specifica”.
Si tratta di integrare in un unico piano relazioni nazionali in materia di occupazione, le relazioni sul processo di riforma economica (Cardiff), nonché quelle settoriali nell’ambito del metodo aperto di coordinamento. Vi saranno inoltre compresi i piani strategici nazionali che individuano le spese prioritarie relative ai Fondi strutturali e al Fondo di coesione (una volta adottati i regolamenti). A gennaio 2006, saranno disponibili i risultati delle riforme realizzate (o in atto) nei vari Paesi. Sino al Consiglio europeo di primavera 2006 saranno poi elaborati gli eventuali aggiornamenti delle Linee integrate, secondo le indicazioni dei vari Consigli ministeriali settoriali interessati (V. Doc COM(2005) 141 def. del 12.4.2005).
Si tratta di un processo di semplificazione e di integrazione di grande rilievo. Infatti, i processi settoriali ad oggi sincronizzati nelle varie formazioni dei Consigli dei ministri sono: ECOFIN per gli Indirizzi di massima delle politiche economiche e per i Programmi di Stabilità; il Consiglio EPSCO per i Piani di Azione Nazionali dell’Occupazione (NAP), la Relazione Comune sull’Occupazione ed il Rapporto finale su Protezione Sociale (previdenza, inclusione sociale e povertà, e sanità; il Consiglio Competitività (ex Mercato Interno, Industria, Ricerca) per il Rapporto sull’attuazione della Strategia per il mercato interno.
La decisione del Consiglio europeo di primavera 2005 contribuisce ad un forte ancoraggio del metodo di coordinamento aperto degli aspetti settoriali al coordinamento delle politiche economiche. Ancorché riguardi solo il consolidamento formale di un processo in itinere già da 2003 (da realizzare compiutamente solo nel 2006), si tratta di un tassello molto importante della governanza europea. Infatti, la maggior parte della strategia di Lisbona rientra in materie di competenza degli Stati membri: il coordinamento comunitario conferisce un valore aggiunto istituzionale ad una convergenza dei sistemi nazionali che avverrebbe solo sotto il machete della liberalizzazione dei servizi (da parte del diritto derivato, del mutuo riconoscimento e/o della giurisprudenza della Corte di giustizia) o del Patto di stabilità per l’Eurogruppo.
Infatti, nella strategia di Lisbona rientra un pacchetto legislativo, che hanno nel Trattato diverse basi giuridiche: la Strategia per il mercato interno 2003-2006 (statuto della società europea; apertura di vari mercati strategici di reti, quali le comunicazioni elettroniche, l’acqua, l’energia, i trasporti ferroviari ed i servizi postali; il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi; il riconoscimento delle qualifiche professionali, il brevetto comunitario, le ultime direttive sui servizi finanziari; il nuovo pacchetto legislativo sui prodotti chimici REACH; il Piano d’azione “semplificare e migliorare la regolamentazione”; la riduzione degli ostacoli fiscali, in primo luogo tramite una base imponibile consolidata comune per le società; riforma degli aiuti per l’innovazione).
Nello stesso Consiglio europeo di primavera 2005 ha, tuttavia, subito un forte ridimensionamento la proposta di direttiva Bolkestein che rappresenta uno degli aspetti più importanti di armonizzazione dello sviluppo del pacchetto legislativo competitività. Com’è noto, la proposta di direttiva Bockstein sulla libera prestazione transfrontaliera di servizi e la libertà di stabilimento propone un approccio strutturato e, parzialmente, innovativo: applicazione del principio del Paese d’origine (come già dalla fine degli anni ‘80 avviene peri servizi bancari e assicurativi), la ripartizione dei compiti tra Stato d’origine e Stato di destinazione in caso di distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi; lo sviluppo della fiducia reciproca ed il rafforzamento dell’assistenza reciproca fra Stati membri.
È tuttavia evidente che il principio del Paese d’origine può essere applicato soltanto sulla base di un adeguato livello di armonizzazione che non può essere solo minimale. Si dovrebbe considerare seriamente la possibilità di escludere completamente i servizi di interesse (economico) generale dall’ambito di applicazione del progetto di direttiva. Non basta evidentemente l’importante eccezione dei salari e delle condizioni di lavoro (secondo la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 1996, 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi che i salariati possono lavorare in un Paese terzo solo se sono rispettati salari minimi e contratti collettivi locali, v. Sentenza Commissione contro Repubblica federale di Germania, causa C-341/02 del 14 aprile 2005) perchè molti Stati temono il “dumping sociale”, ovvero l’offerta di servizi sottocosto soprattutto dei 10 Paesi dell’allargamento. Anche sulla base delle reazioni di settori dell’opinione pubblica espresse nel referendum francese (ivi compresa la legenda metropolitana del plombier polonais che avrebbe tolto il lavoro ai suoi colleghi francesi) dimostra anche quanto sia più lenta su questa via la ricerca di un modello di società europea. In un processo separato promosso dal Libro verde e dal Libro bianco sui servizi di interesse generale proseguirà lentamente la discussione sul ruolo che la UE sulla definizione di questi servizi e nel modo in cui vengono organizzati e finanziati.
In ogni caso questo processo dovrà restare nei tempi della strategia di Lisbona. È infatti evidente che in assenza di una generale disciplina di diritto derivato, la giurisprudenza della Corte di Giustizia procede inesorabilmente ad applicare la forza evolutiva che il trattato comporta allo sviluppo del mercato unico, ad es. in materia di compensazione dei servizi di interesse generale (..) e di servizi di istruzione superiore (Sentenza Valentina Neri / European School of Economics, Causa C-153/02 del 13 novembre 2003) o di servizi sanitari (sentenze Kohll, causa C-155/96 del 28.4.1998; Smits et Peerbooms, causa C-157/99 del 12.7.2001; Vanbraekel, causa C-368/98 del 12.7.2001; Inizan, causa C-56/01 del 23.10.2003; Leichtle, causa 8/02 del 18.3.2004). Non serve all’intangibilità dei sistemi nazionali che l’armonizzazione legislativa, regolamentare e amministrativa sia preclusa alla Comunità europea nei relativi capitoli del Trattato e, a ben vedere, neanche che la Corte di Giustizia si astenga, come bene ha fatto negli ultimi anni, dal dilatare, oltre ogni ragionevole misura, le competenze comunitarie.
Da ultimo, vale la pena di ricordare che, per quanto riguarda gli strumenti finanziari europei che potranno essere a disposizione della Strategia di Lisbona, i Fondi strutturali vengono già utilizzati e orientati verso questi obiettivi, ma i progressi potranno essere consolidati solo grazie all’adozione di proposte relative al nuovo quadro per il periodo 2007-2013. Per la ricerca, accanto alla preparazione del VII Programma quadro per la ricerca è in discussione una nuova proposta di programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP 2007-2013), che comprenderà il Programma per l’innovazione e l’imprenditorialita; il Programma Sostegno alla politica in materia di TIC (programmi eTEN, MODINIS, eContent) nella nuova strategia European Information Society 2010 (i2010); il Programma Energia intelligente per l’Europa. Infine, convergenti verso le finalità della Strategia sono anche le proposte di un nuovo programma per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita attiva (quattro programmi settoriali incentrati sull’istruzione scolastica- Comenius, sull’istruzione superiore, sulla formazione professionale - Leonardo da Vinci; sull’educazione degli adulti - Grundtvig) e del programma Gioventù.
Peraltro, gli Stati membri sono chiamati a far fronte al loro impegno di avviare i lavori sui 45 progetti transfrontalieri ad avvio rapido (quick start) per i trasporti e l’energia. Il coordinamento europeo dei singoli progetti deve andare di pari passo con un chiaro impegno da parte degli Stati membri interessati di varare un processo di programmazione e finanziamento.
In conclusione, secondo il percorso di Lisbona, gli Stati membri dovrebbero modernizzare i sistemi di protezione sociale (in particolare i regimi pensionistici e di assistenza sanitaria) nonché rafforzare la propria politica occupazionale. La ricerca di un modello di società europeo nella Strategia di Lisbona 2010 appare oggi ancora fortemente in ritardo, incerta, e, in qualche punto, contraddittoria.
Malgrado le persistenti differenze l’Europa non può permettersi di abbandonare la road-map di Lisbona, che è legata ad un comune interesse di tutti gli Stati membri: non trovarsi a competere con altri attori mondiali con un mercato europeo sempre più unificato e un’economia con insostenibili differenziali di competitività tra gli Stati membri.
La Strategia è priva di sanzioni, anche di quelle di deterrenza politica raccomandate dal Rapporto Kok (novembre 2004) di “naming, shaming and faming” che potrebbe essere, tuttavia, facilmente ottenuto con uno scoreboard dei progressi nazionali, come quello per la realizzazione del mercato interno). È incontestabile che un progetto così ambizioso come quello del modello sociale europeo, ancorché spinto dall’urgenza di perdita di competitività, può realizzarsi solo tramite la flessibilità che comporta il coordinamento delle riforme dei sistemi nazionali e la convergenza progressiva dei modelli sociali nazionali. È altrettanto vero che nessuna materia è comunque al riparo dall’impatto indiretto della realizzazione del mercato unico e, soprattutto della liberalizzazione dei servizi.
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