LA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D'EUROPA PER LA PROTEZIONE DEI BAMBINI CONTRO LO SFRUTTAMENTO E GLI ABUSI SESSUALI - Sud in Europa

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LA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D'EUROPA PER LA PROTEZIONE DEI BAMBINI CONTRO LO SFRUTTAMENTO E GLI ABUSI SESSUALI

Archivio > Anno 2008 > Dicembre 2008
di Raffaella DI CHIO (Assegnista di ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea nell’Università degli Studi di Bari)    Uno degli strumenti più rilevanti predisposti negli ultimi tempi per la tutela dei diritti umani nel contesto europeo è senza dubbio la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, del 25 ottobre 2007. Essa è stata aperta alla firma sia degli Stati membri del Consiglio d’Europa sia degli Stati non-membri che hanno partecipato alla sua redazione, come anche della Co­mu­nità europea. Sino ad ora la Convenzione è stata firmata da 29 Stati, tra cui l’Italia, la cui delegazione ha ottenuto importanti integrazioni al testo, contribuendo al mi­glio­ramento qualitativo degli articoli pre­e­sistenti ed all’elaborazione di proposte di nuovi articoli, ma non è ancora entrata in vigore, occorrendo la ratifica di cinque Sta­ti, di cui almeno tre devono essere mem­bri del Consiglio d’Europa.
Secondo quanto stabilisce l’art. 1, par. 1, scopi della suddetta Convenzione sono: prevenire e combattere lo sfruttamento ses­suale e l’abuso sessuale nei confronti dei bambini; proteggere i diritti dei bambini vittime di sfruttamento ed abuso sessuale, nonché promuovere la cooperazione nazionale ed internazionale per lottare contro tali fenomeni. Con riguardo allo sfruttamento sessuale dei bambini, l’u-nico strumento internazionale specificamente dedicato a tale materia è il Protocollo del 2000 sulla vendita dei bambini, sulla pornografia infantile e sulla prostituzione infantile addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Tuttavia, siffatto Protocollo non contiene norme dettagliate ed esaustive su questioni importanti, ad esempio con riguardo alle procedure giudiziarie che vedono coinvolti bambini, ma si limita a porre norme minime sulla protezione dei bambini vittime nell’ambito dei procedimenti penali. Ancora, il Protocollo incoraggia l’adozione di legislazioni extra-territoriali, ma non prevede alcuna deroga al principio della doppia incriminazione. Inoltre, il Protocollo, come anche altri strumenti in­ternazionali, come ad esempio la decisione quadro 2004/68 /GAI del Con­siglio, del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile (in GUUE L 13 del 20 gennaio 2004), hanno affrontato la questione dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei bam­bini solo se commessi a fini lucrativi o commerciali, tralasciando i casi in cui gli abusi sono perpetrati nell’ambito della fa­miglia o del contesto sociale più prossimo. Tali situazioni, in­fatti, sono le più frequenti ed in esse è assente l’aspetto propriamente commerciale.
Pertanto, la Convenzione in esame ha il merito di affrontare in maniera globale le problematiche connesse all’abuso ed allo sfruttamento sessuale dei bambini: infatti, la novità più importante della Convenzione è data dal fatto che essa rappresenta il primo strumento internazionale che considera reati penali le diverse forme di abuso sessuale nei confronti dei bambini, comprese quelle commesse in casa o nel contesto familiare, facendo uso della forza, della costrizione o delle minacce. È appena il caso di rilevare che ai sensi della Con­venzione per bambino si intende ogni persona che abbia un’età inferiore ai 18 anni (art. 3, lett. a), anche se alcune disposizioni relative a determinate fattispecie criminose fanno riferimento ad un’età diversa.
L’art. 18, par. 1, contenuto nel capitolo VI – Diritto penale sostanziale –, stabilisce che ogni Stato parte deve prendere tutte le misure necessarie per incriminare la condotta di chi intenzionalmente intraprende attività sessuali con un bambino che, secondo le pertinenti disposizioni di diritto interno, non abbia raggiunto l’età del consenso per i rapporti sessuali (lett. a); o di chi intraprenda attività sessuali con un bambino, facendo uso di costrizione, forza o di minacce, a prescindere dall’età, o abusando di una posizione di fiducia, di autorità o di influenza, anche all’interno della famiglia, anche se il bambino ha raggiunto l’età per il consenso e a prescindere dall’uso di mezzi di coercizione; o approfittando di una particolare posizione di vulnerabilità del bambino, a causa di un handicap fisico o mentale o di una situazione di dipendenza (lett. b).
Dunque, il riferimento alla “famiglia” intende chiaramente porre l’accento sugli abusi sessuali commessi all’interno del nucleo familiare, che costituiscono le forme più gravi e più frequenti di violenza sessuale sui bambini. È appena il caso di rilevare che, ai sensi della Convenzione, si fa riferimento ad una nozione “allargata” di famiglia. Inoltre, per quanto concerne la situazione di dipendenza di cui all’art. 18, par. 1, lett. b) terzo trattino, essa non si riferisce soltanto ai bambini con problemi di droga o di alcol, ma anche a quei casi in cui il bambino non abbia altra reale ed accettabile scelta se non sottoporsi all’abuso. I motivi di una tale situazione possono essere di origine fisica, mentale, economica, sociale, oppure legati alla famiglia o ad un fragile stato di salute e rendono pertanto invalido il consenso del minore all’abuso sessuale. La nozione di situazione di dipendenza è altresì suscettibile di coprire gli atti commessi contro un bambino al fine di porlo in uno stato di isolamento fisico e mentale e di assoggettarlo a forme di plagio. Ad esempio, la situazione di un minore migrante non accompagnato potrebbe essere suscettibile di ricadere nella nozione di dipendenza di cui all’art. 18, par. 1, lett. b), terzo trattino.
Inoltre, l’art. 18, par. 2, prevede che ogni Stato parte dovrà sta­bilire l’età minima per intraprendere rapporti sessuali con un mi­nore. I redattori hanno preferito lasciare tale scelta alle Parti contraenti, data la difficoltà di procedere ad una armonizzazione delle disposizioni penali in tale settore, dal momento che l’e­tà minima varia grandemente da Stato a Stato (dai 13 ai 17 an­ni) ed anche all’interno di uno stesso Stato, in funzione delle relazioni che intercorrono tra il minore e l’autore dell’abuso.
Per quanto concerne le altre condotte che gli Stati parti devono incriminare, l’art. 19 prevede che questi ultimi devono adottare tutte le misure necessarie per incriminare le condotte intenzionali relative al ricorso ed allo sfruttamento della prostituzione infantile, mentre l’art. 20 stabilisce che gli Stati parti devono adottare tutte le misure necessarie per incriminare le condotte ri­guardanti la pornografia infantile, in particolare attraverso l’u­so delle nuove tecnologie, soprattutto Internet.
Tale disposizione è ispirata all’art. 9 (reati relativi alla pornografia infantile) della Convenzione del Consiglio d’Europa sul cybercrime del 23 novembre 2001 (CETS n. 185), entrata in vigore il 1° luglio 2004, che mira a rafforzare le misure di protezione al fine di impedire che i computer siano utilizzati per lo sfruttamento e l’abuso sessuale dei bambini. A tal proposito, un’importante novità della Convenzione in esame è contenuta nell’art. 20, par. 1, lett. f), che intende perseguire coloro che guardano immagini su siti di pornografia infantile, ma senza scaricarle, e che pertanto non possono essere incriminati, in alcune giurisdizioni nazionali, per il reato di procurare o possedere materiale pornografico. Tuttavia, è il caso di rilevare che l’art. 20, par. 4, sottopone tale disposizione alla possibilità di riserva da parte degli Stati contraenti.
Inoltre, con riguardo alla pornografia infantile, l’art. 21 della Convenzione incrimina il reato di partecipazione dei bambini in rappresentazioni pornografiche, con riguardo sia all’organizzazione di tali rappresentazioni che alla visione consapevole, an­che attraverso l’uso di webcams.
Sempre in tema di condotte da incriminare, un significativo risultato, dovuto alla delegazione italiana, è stato quello relativo all’introduzione nella Convenzione della fattispecie di reato di corruzione di minore, prevista all’art. 22, che trae fondamento dall’art. 609 quinquies del nostro codice penale. Secondo quan­to dispone l’art. 22 della Convenzione, ogni Stato parte de­ve prendere tutte le misure necessarie per incriminare la condotta di chi faccia assistere intenzionalmente, a fini sessuali, un bambino, che non abbia raggiunto l’età minima per il consenso sessuale, ad abusi o ad attività sessuali, a prescindere dal suo coinvolgimento.
Un’altra novità della Convenzione in esame è rappresentata dall’introduzione del reato di grooming, che non è presente in nessun altro strumento internazionale in materia. A tal proposito, l’art. 23 della Convenzione stabilisce che ogni Stato parte deve prendere le misure necessarie per incriminare la condotta di un adulto che propone intenzionalmente, attraverso l’uso di In­ternet, in particolare di chat rooms e di game sites, un incontro ad un bambino che non abbia raggiunto l’età minima per il consenso sessuale, allo scopo di intraprendere attività sessuali o di produrre materiale pornografico, qualora la proposta sia stata seguita dal compimento di atti materiali volti a realizzare l’in-contro, come per esempio la circostanza che l’autore del reato si sia concretamente recato al luogo dell’appuntamento.
È il caso di rilevare che il termine grooming si riferisce alla manipolazione psicologica del bambino al fine dell’abuso sessuale, motivato dal desiderio di usarlo per soddisfare i propri istinti sessuali. Ai sensi della Convenzione, esso può verificarsi quando l’adulto tenta di diventare amico del bambino, anche spacciandosi per un altro giovane, oppure attira il bambino in discorsi su questioni intime al fine di ridurre le sue inibizioni e di esporgli gradatamente materiale a sfondo sessuale, oppure ricatta il bambino, per costringerlo ad attività di pornografia infantile, attraverso l’invio di foto compromettenti ottenute con una webcam o un telefono cellulare.
Per quanto concerne le altre parti della Convenzione, occorre precisare che il capitolo II prevede l’adozione di misure di carattere preventivo, tra cui la selezione, il reclutamento, la formazione e la presa di coscienza delle persone che lavorano a contatto con i bambini, al fine di renderli consapevoli dei rischi e di insegnare loro a difendersi, come anche di misure miranti a monitorare il comportamento dei potenziali rei (artt. 5-7). Im­portante a tal proposito è anche l’art. 10 contenuto nel capitolo III – Autorità specializzate ed organi di coordinamento –, a cui la delegazione italiana ha apportato importati integrazioni al testo, riuscendo a far inserire l’impegno per gli Stati aderenti a creare osservatori nazionali che monitorino il fenomeno dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, anche attraverso la raccolta di dati, e che lavorino in collaborazione con i rappresentanti della società civile, veicolando l’esperienza italiana dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia infantile come una buona prassi per gli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa. Ancora, la Convenzione stabilisce al capitolo IV recante “Misure di protezione e di assistenza delle vittime”, l’adozione di programmi di sostegno per le vittime, compresi i familiari direttamente coinvolti, nonché di misure miranti a incoraggiare la segnalazione ai servizi di protezione dell’infanzia, da parte di professionisti normalmente vincolati dal segreto professionale (quali i medici) di qualsiasi sospetto di abuso sessuale nei confronti di bambini, ma anche da parte di qualunque persona che “in buona fede” nutra sospetti analoghi o abbia conoscenza di situazioni di abuso (art. 12). Im­por­tante risulta anche l’art. 14, par. 3, inserito su proposta della de­legazione italiana, che prevede l’eventuale allontanamento del reo dal nucleo familiare.
Le disposizioni contenute nel capitolo V costituiscono un importante valore aggiunto per la Convenzione in esame. In­fatti, esse mirano a prevenire il reiteramento delle forme di abu­so e di sfruttamento sessuale attraverso l’adozione di programmi o di misure di intervento destinate agli autori di tali condotte. Si tratta di misure di carattere facoltativo, per le quali è sempre necessario il consenso del destinatario, e che non co­sti­tui­sco­no necessariamente una parte della pena, ma possono far parte di programmi di assistenza sociale (art. 15). I destinatari di tali programmi di intervento sono: le persone perseguite o con­dannate per uno dei reati previsti dalla Convenzione o i mi­nori che hanno posto in essere infrazioni a carattere sessuale (art. 16, par. 1). Per quanto concerne l’esercizio della giurisdizione, è da segnalare l’art. 25, par. 4, che elimina, in relazione ai reati più gravi previsti nella Convenzione, il principio della doppia incriminazione.
Tale norma costituisce un altro importante elemento di novità della Convenzione ed un passo notevole per la protezione dei bambini dalle forme di abuso e di sfruttamento sessuale. Infatti, l’eliminazione del principio della doppia incriminazione ha co­me scopo principale la lotta contro la diffusa ed odiosa pratica del “turismo sessuale”, i cui autori molto spesso fanno affidamento sul fatto che determinate condotte, incriminate nei loro Paesi di origine, non subiscono lo stesso trattamento nello Stato in cui viene commessa l’infrazione, in tal modo garantendo loro l’impunità nel Paese di origine.
Ancora, l’art. 26 prevede la responsabilità delle persone giuridiche, l’art. 27 le sanzioni da comminare: a tal proposito risulta importante la previsione, su iniziativa della delegazione italiana, dell’istituzione di un fondo speciale con finalità di prevenzione e di assistenza alle vittime di reati di abuso e violenza sessuale, dove destinare i proventi dei reati o i beni confiscati, sul modello dell’art. 17, comma 2 della l. 269/98.
Per quanto concerne gli aspetti relativi alla fase delle indagini e del procedimento penale, essi sono delineati nel capitolo VII della Convenzione. A tal proposito, la delegazione italiana ha proposto l’introduzione nella Convenzione di due importanti misure: lo sviluppo di tecniche per l’identificazione dei minori ritratti su materiale pornografico e la possibilità di effettuare operazioni sotto copertura per la repressione dei reati previsti nella Convenzione (art. 30, par. 5). La prima, rappresenta un’in­novativa opportunità per identificare più facilmente le piccole vittime di questi reati, mentre la seconda si basa sull’esperienza italiana maturata nell’ambito delle attività della Polizia Postale. Inoltre, è il caso di rilevare che nell’ambito del capitolo VII è contenuta una serie dettagliata di disposizioni volte a tutelare la particolare vulnerabilità dei bambini coinvolti nell’ambito dei procedimenti giudiziari, o in qualità di vittime o di testimoni, avendo riguardo in particolare alla protezione della loro identità e alla tutela della loro privacy, allo scopo di evitare il rischio di un nuovo trauma e di una nuova vittimizzazione (artt. 31, 35, 36). Ai fini della tutela degli interessi del bambino, un’altra importante disposizione del capitolo VII, considerata un valore aggiunto dalla Convenzione, è contenuta nell’art. 33, secondo cui il termine di prescrizione per alcuni dei reati previsti, continua a decorrere per una durata sufficiente a consentire l’in­staurarsi del procedimento giudiziario, dopo che il bambino ha raggiunto la maggiore età.
Il capitolo IX della Convenzione prevede misure in tema di cooperazione internazionale, con riferimento non solo alla coo­pe­razione penale, ma anche alle forme di cooperazione volte a pre­venire le forme di sfruttamento ed abuso sessuale sui bambini. A tal proposito, l’art. 38, par. 4, inserito grazie alla delegazione italiana, prevede l’impegno da parte degli Stati membri di sviluppare all’interno dei programmi di assistenza allo sviluppo ri­spetto agli Stati terzi, le tematiche ri­guardanti la prevenzione e la lotta allo sfruttamento sessuale dei minori, in quanto molte vittime provengono proprio dagli Sta­ti più deboli.
Inoltre, un’altra importante no­vità della Con­venzione in esa­me è rappresentata dall’istituzione di un apposito mec­canismo di controllo (art. 1, par. 2), che ha il compito di assicurare l’effettiva applicazione della Convenzione da parte degli Stati contraenti ed il cui funzionamento è disciplinato nel capitolo X del­la Con­venzione. Tale meccanismo di controllo, presente an­che nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta con­tro la tratta degli esseri umani del 16 maggio 2005, entrata in vi­gore il 1° febbraio 2008, si basa essenzialmente su un organo, il Co­mitato degli Stati parti, composto da rappresentanti de­gli Stati parti della Convenzione (art. 39). Tale Comitato vie­ne convocato la prima volta dal Segretario generale del Con­siglio d’Europa en­tro un anno dall’entrata in vigore della Conven­zio­ne, in se­gui­to al deposito del decimo strumento di ratifica (art. 39, par. 2).
Importante è l’art. 40 che prevede la partecipazione in seno al Comitato degli Stati parti di altri organi e comitati del Con­si­glio d’Europa, nonché di rappresentanti della società civile, qua­li le organizzazioni non governative. Infine, per quanto concerne le funzioni del Comitato degli Stati Parti, esse consistono essenzialmente nel controllare l’applicazione della Con­ven­zio­ne, nel coordinare dati, esperienze ed informazioni provenienti da­gli Stati e nel fornire un parere su ogni questione riguardante l’applicazione della Convenzione (art. 41).
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