LE OPERAZIONI MARE NOSTRUM E TRITON NEL MEDITERRANEO CENTRALE di Giuseppe MORGESE - Sud in Europa

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LE OPERAZIONI MARE NOSTRUM E TRITON NEL MEDITERRANEO CENTRALE di Giuseppe MORGESE

Archivio > Anno 2014 > Dicembre 2014

1. Il 1° novembre scorso Frontex – l’Agenzia per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea – ha dato avvio all’operazione Triton, che dovrebbe sostituire, nelle intenzioni del governo italiano, l’operazione Mare Nostrum avviata nell’ottobre 2013 nel Mediterraneo centrale.
Quest’ultima ha rappresentato la risposta italiana alla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui sono morti più di 350 migranti provenienti dalle coste africane. L’operazione ha avuto inizio il 28 ottobre 2013 con il potenziamento del controllo dei flussi migratori già svolto dalla missione Constant Vigilance, attiva dal 2004. È importante sottolineare come Mare Nostrum abbia avuto, sin dal suo avvio, una doppia caratterizzazione, militare e umanitaria, consistente nel rafforzamento della sorveglianza delle frontiere meridionali e, al contempo, nello svolgimento di un’efficace azione di soccorso. Sono stati impiegati sinergicamente uomini e mezzi di varie amministrazioni statali, la qual cosa ha contribuito a decretarne il “successo”: l’intervento di Marina Militare, Aeronautica Militare, Carabinieri, Guardia di Finanza, Capitaneria di Porto, Direzione Centrale dell’Immigrazione (Ministero dell’Interno), Uffici immigrazione di alcune Questure, Polizia scientifica, Squadra speciale anti-immigrazione operativa in Sicilia, assistiti da mediatori culturali a bordo dei mezzi navali, ha infatti consentito di approcciare i flussi migratori via mare in un’ottica non appiattita sulla sola dimensione repressiva.
I mezzi della missione Mare Nostrum sono stati dislocati in una porzione molto ampia del Mediterraneo centrale, giungendo anche in prossimità delle coste libiche. Posto che le regole di ingaggio dell’operazione non sono state rese pubbliche, una volta tratti in salvo, i migranti vengono di regola condotti in uno dei porti siciliani individuati (Porto Empedocle, Pozzallo o Augusta, nonché più di recente anche Palermo, Catania e Messina) per le attività di identificazione, fotosegnalamento e rilievo delle impronte digitali, nonché per la prima accoglienza.
La riprova del “successo” di Mare Nostrum risiede nel fatto che, nell’arco di tredici mesi, sono stati svolti 558 interventi, salvate più di 100.000 persone, arrestati 728 scafisti e sequestrate 8 navi. A fronte della sua efficacia, Mare Nostrum ha tuttavia comportato un costo non indifferente per le casse dello Stato. Secondo il Ministro dell’Interno, infatti, in 13 mesi sono stati spesi circa 114 milioni di euro. Inoltre, secondo alcuni, ciò avrebbe rappresentato paradossalmente un incentivo alle partenze, visto l’alto numero di arrivi via mare nel 2014. Questo rilievo, tuttavia, non tiene conto di alcuni fattori che concorrono alla scelta della rotta verso le coste siciliane: in primo luogo, le condizioni politiche di alcuni Paesi mediorientali e nordafricani, in specie quella assai instabile della Libia post-Gheddafi, maggior Paese di partenza dei flussi migratori via mare; ma anche il fatto che la Bulgaria ha eretto una barriera fisica lungo parte della sua frontiera esterna con la Turchia (e si accinge a prolungarla), che la Spagna – secondo alcuni siti indipendenti – respinge i migranti utilizzando armi caricate a proiettili di gomma, e che i Paesi dell’Europa settentrionale mantengono una politica restrittiva per la concessione dei visti. Ciò considerato, già da prima dall’avvio della missione, l’Italia si è prodigata per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi degli altri Stati membri nel senso di una “presa in carico” (o quanto meno di forme di solidarietà nei confronti) dell’emergenza migranti alle frontiere meridionali dell’area Schengen: nei limiti in cui di emergenza si può ancora parlare, peraltro, visto il carattere ormai stabile di questi flussi migratori. Le reiterate richieste di condivisione anche economica dei costi del contrasto all’immigrazione irregolare e del salvataggio dei migranti si sono almeno parzialmente concretizzate nella decisione di dare avvio alla ricordata operazione Triton di Frontex.

2. L’agenzia Frontex, istituita con il regolamento (CE) n. 2007/2004, ha iniziato a operare nel 2005 con la finalità di facilitare la cooperazione nell’Unione europea in materia di controllo delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri, senza sostituirsi agli Stati membri. I suoi principali compiti consistono, infatti, nel coordinamento della cooperazione operativa tra Stati in materia di gestione delle frontiere esterne, nella predisposizione di modelli di valutazione dei rischi, nell’assistenza per la formazione delle guardie di confine, nel monitoraggio delle ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere, nell’aiuto agli Stati in caso di eventi che richiedono un’assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne, e nel fornire sostegno per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte.
Altre due competenze di Frontex ci sembrano significative ai nostri fini. Ci si riferisce, per un verso, alla competenza relativa alla valutazione, l’approvazione e il coordinamento delle operazioni congiunte, cioè quelle attività operative di ausilio agli Stati rivolte ad arginare i flussi di immigrazione irregolare, e i cui nomi sono tratti dalla mitologia greca e romana: Hera, Hermes, Poseidon, Hydra, Jupiter, Minerva, Aeneas. Per altro verso, alla possibilità – di cui al regolamento (CE) n. 863/2007 – di impiegare squadre di intervento rapido (Rapid border intervention teams, c.d. RABITs) da dislocare alle frontiere degli Stati membri che sperimentano una pressione urgente ed eccezionale dovuta, per esempio, a un afflusso massiccio di stranieri: su richiesta del Paese interessato, Frontex può dispiegare fino a 600 guardie di frontiera provenienti da altri Stati dell’Unione, per un periodo di tempo limitato e sotto il comando e la responsabilità dello Stato ospitante.
Le operazioni congiunte e l’invio delle squadre di intervento rapido di Frontex hanno sollevato interrogativi quanto alla tenuta dei diritti umani, soprattutto perché vengono condotte in maniera tale da rendere difficile l’accertamento di violazioni dei diritti fondamentali dei migranti intercettati. Valga da esempio l’operazione Hera II, richiesta dalla Spagna e svolta da Frontex in cooperazione con Mauritania e Senegal per il pattugliamento delle coste dell’Atlantico occidentale. La missione consisteva nell’intercettare le imbarcazioni dei migranti a ridosso del mare territoriale dei due Paesi africani e nel ricondurle sotto la loro autorità. Così facendo, ci si è posti l’interrogativo in merito alla violazione del principio di non-refoulement (inteso in senso ampio, come nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo), secondo cui nessuno può essere respinto verso le frontiere dei Paesi nei quali corre il rischio di subire tortura o altri pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti: i funzionari di Frontex avrebbero dovuto effettuare un controllo delle motivazioni per le quali quei migranti si allontanavano dai Paesi africani anzidetti, in modo da tutelare richiedenti asilo o altri soggetti a rischio. In proposito, sia l’agenzia sia gli Stati membri coinvolti nell’operazione si sono trincerati dietro lo scudo della responsabilità di Mauritania e Senegal, ai quali è stato accollato ciò che succedeva nelle zone marine sottoposte alla loro sovranità territoriale.
Peraltro, le operazioni di Frontex sono quasi totalmente sottratte al controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea: se è vero che a quest’ultima spetta il compito di comporre le controversie relative al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale dell’agenzia, è altrettanto vero che risulta alquanto difficile (se non, in molti casi, praticamente impossibile) che i migranti respinti riescano a proporre un ricorso di questo tipo. Inoltre, si ricorda che al giudice dell’Unione spetta anche la competenza per l’annullamento degli atti di Frontex, ma in questo caso il carattere riservato dei piani operativi difficilmente permette di giungere alla contestazione della loro validità.
Le preoccupazioni relative alla scarsa tutela dei diritti umani durante le operazioni dell’agenzia hanno condotto all’adozione del regolamento (UE) n. 1168/2011, che ha apportato alcuni miglioramenti. Ora le operazioni possono essere sospese o concluse in caso di violazione dei diritti umani, anche qualora non venga osservato il “codice di condotta” che stabilisce procedure intese a garantire i principî dello Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali, con particolare attenzione nel caso dei minori non accompagnati e delle persone vulnerabili, come anche delle persone che chiedono protezione internazionale: il codice è infatti applicabile a tutti coloro che prendono parte alle attività dell’agenzia. Vengono inoltre istituiti il “responsabile dei diritti fondamentali”, incaricato di prestare assistenza su temi che abbiano tali implicazioni, e il “forum consultivo sui diritti fondamentali”, che assiste i vertici di Frontex e al quale partecipano organizzazioni internazionali governative e non governative. Ancora, le operazioni di rimpatrio vengono monitorate in base a criteri obiettivi e trasparenti (con relativa relazione della Commissione), e tra i compiti di Frontex rientra anche l’assistenza agli Stati durante emergenze umanitarie e operazioni di soccorso in mare.
Nonostante questa maggiore sensibilità nei confronti della tematica, nel marzo 2012 il Mediatore europeo ha avviato un’indagine per verificare l’applicazione da parte di Frontex dei suoi obblighi in materia di diritti umani. All’esito dell’indagine, nel novembre 2013 il Mediatore ha adottato una decisione con la quale, da un lato, ha espresso soddisfazione per le attività di Frontex circa la strategia in materia di diritti fondamentali, il piano d’azione, i codici di condotta, il termine/la sospensione delle operazioni e il forum consultivo, mentre, dall’altro lato, ha stigmatizzato il mancato accoglimento del suggerimento di ovviare all’assenza di un meccanismo in grado di gestire i singoli casi denunciati di presunte violazioni dei diritti fondamentali durante lo svolgimento delle attività. L’agenzia si è infatti difesa affermando che la responsabilità su eventuali violazioni dovrebbe gravare non su Frontex bensì in capo agli Stati partecipanti alle operazioni, cosa che il Mediatore ha ritenuto inaccettabile e per la quale ha presentato una relazione speciale al Parlamento europeo. Nell’ottobre scorso, peraltro, il Mediatore ha avviato una nuova indagine diretta a chiarire se l’agenzia rispetta o meno i diritti fondamentali delle persone sottoposte a procedure di rimpatrio forzato: ciò, a fronte di 209 operazioni congiunte effettuate da Frontex tra il 2006 e il 2013, nell’àmbito delle quali sono stati rimpatriati nel loro Paese d’origine più di 10.000 migranti.

3. La nuova operazione Triton – che in un primo momento era stata denominata Frontex Plus – costituisce il prosieguo di due operazioni recentemente terminate: Aeneas nel mar Jonio, con la finalità di combattere l’immigrazione irregolare dalla Turchia e dall’Egitto verso le coste della Calabria e della Puglia, ed Hermes rivolta a controllo dell’immigrazione irregolare e di altri crimini transfrontalieri dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Algeria verso Lampedusa, la Sicilia e la Sardegna.
Rispetto a Mare Nostrum, l’operazione Triton risulta sotto vari aspetti molto più limitata. In primo luogo, il suo finanziamento è di soli 2,9 milioni di euro rispetto agli oltre 9 milioni al mese messi a disposizione dall’Italia dall’ottobre 2013 all’ottobre 2014. In secondo luogo, anche i mezzi a disposizione di Frontex dagli Stati partecipanti alla missione sono molto più limitati rispetto a quelli sinora utilizzati dall’Italia. In terzo luogo, Triton ha un àmbito di operatività ben più limitato a quello di Mare Nostrum: quest’ultima, come si è detto, si estendeva fino in prossimità del mare territoriale della Libia, mentre Triton giunge fino ad appena 30 miglia marine dalle coste meridionali italiane.
Ma, soprattutto, il mandato di Triton – nonostante i miglioramenti introdotti dal regolamento 1168/11 – è diverso da quello dell’operazione Mare Nostrum. Secondo quanto riportato nel documento del 28 agosto 2014, Concept of reinforced joint operation tackling the migratory flows towards Italy: JO EPN-Triton, gli obiettivi della nuova operazione riguardano il potenziamento degli sforzi nazionali relativi alla sorveglianza delle frontiere e il mero “supporto” per attività di ricerca e soccorso. In altri termini, lo scopo principale è quello di sorvegliare le frontiere, mentre le attività dirette a fronteggiare crisi umanitarie o incidenti in mare spettano principalmente alle autorità statali.
La differenza con l’obiettivo anche umanitario di Mare Nostrum è dunque non di poco conto, la qual cosa lascia intendere che, a differenza di quanto affermato, l’Italia – seppur con altro nome e/o in forma più limitata rispetto a quanto sinora fatto – dovrà continuare a operare nel Mediterraneo centrale e soprattutto, per evitare nuove tragedie come quella di Lampedusa del 3 ottobre 2013, a farsi quasi esclusivo carico del soccorso in mare dei migranti.
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