L'ARDUO TRAGHETTAMENTO - Sud in Europa

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L'ARDUO TRAGHETTAMENTO

Archivio > Anno 2008 > Dicembre 2008
di Ennio TRIGGIANI    
La grande e delicata complessità dei tempi che stiamo vivendo, con una crisi economica globale i cui futuri scenari sono ancora imperscrutabili, rappresenta una sfida importante per lo stesso sviluppo dell’integrazione europea. Essa si trova in un momento cruciale della sua pur giovane vita (che cosa sono 50 anni di fronte alla storia?) proprio in quanto espressione del primo tentativo istituzionalizzato di governo della globalizzazione. Ed allora appare normale che, in quanto tale, l’Unione europea debba creare ampie aspettative in ordine alla sua capacità di fornire risposte efficaci a problemi che certo hanno molte cause e responsabilità esterne alla propria sfera ma che comunque la vedono fra i protagonisti della messa in campo degli strumenti idonei a fronteggiare la crisi.
L’Europa è oggi ad un bivio e la cartina di tornasole delle sue scelte è probabilmente legata alla entrata in vigore, o meno, del Trattato di Lisbona del 2007. I suoi 27 Pae­si membri devono comprendere che proprio nei momenti drammatici della storia, come quello che viviamo, c’è bisogno di grande apertura. D’altronde la caratteristica fondamentale dell’Unione dovrebbe pro­prio consistere nell’essere una società sen­­za steccati sul piano ideale, economico, sociale e cul­­­turale; per cui essa costituisce la prima significativa forza trainante verso una so­cietà aperta globale.
Quest’ultima, insieme con il “diritto cosmopolitico” (ovvero della globalizzazione) di ispirazione kantiana, viene spesso sottoposta a malcelata derisione e relegata nel sottoscala di una reietta utopia di sconsiderati idealisti. Di gran lunga più apprezzato è invece il “sano” realismo delle concrete operazioni finanziarie generatrici di danni senza limiti, del facile recupero di sentimenti nazionalisti e xenofobi, dello spensierato rinvio a tempo indeterminato di una seria lotta all’inquinamento, della “involontaria” disattenzione per la fame e l’assenza di risorse idriche di ampia parte del mondo.
Gli ultimi mesi hanno evidenziato come l’articolata società contemporanea ha bisogno dell’intervento regolatore degli Stati e delle organizzazioni internazionali da essi formate, anche se strutture e compiti di que­ste ultime, nate a ridosso della seconda guerra mondiale, devono es­se­re ampiamente rivisti. La stessa “storica” elezione di Barack Obama, con i valori in essa inclusi, potrà produrre una spinta importante in tale direzione. A questa necessaria rivisitazione non può sottrarsi l’Unione europea per varie ragioni. Anzitutto essa deve ritrovare quelle forti ragioni ideali della ricostruzione in termini unitari di un continente lacerato da troppe guerre, ragioni che ne hanno costituito la base di un incredibile successo; ma oggi il bene della pace raggiunta non appare sufficiente per determinare una ulteriore spinta propulsiva e produrre gli opportuni cambiamenti.
Ed allora proprio gli inquietanti scenari che si stanno dispiegando possono costituire un saldo punto di partenza. Gli Stati si stanno rendendo conto che una posizione meramente difensiva della chiusura in se stessi serve ben poco e che solo intrecciando relazioni più solide ed assumendo decisioni comuni diventa possibile arginare le molteplici insidie poste sul cammino dell’umanità. Quale migliore occasione nelle mani dell’Unione europea, che di questa strategia è l’antesignana, per offrire nuovamente alla comunità internazionale la propria capacità di innovazione politica ed istituzionale. Questa si è mostrata vincente anche rispetto alla attuale crisi finanziaria nella quale la presenza dell’euro, strumento monetario di portata “rivoluzionaria, ha consentito di difendere l’unità del mercato europeo e, per ora almeno, l’economia di Stati che sarebbe stata stravolta con monete nazionali strutturalmente deboli (che ne sarebbe stato dell’Italia con la liretta?).
Ma per conseguire tale obiettivo serve, fra l’altro, che entri in vigore il Trattato del 2007 il cui apporto consiste nel fornire strumenti indispen­sabili di democratizzazione, efficienza, coesione. Ed è necessario che su di esso avvenga il rilancio della strategia di Lisbona che nel 2000 si pose l’obiettivo, in gran parte disatteso, di far divenire l’economia della conoscenza europea la più competitiva e dinamica del mondo. È stato troppo differenziato infatti il contributo fornito in questa direzione dai diversi Stati membri, come d’altronde si evidenzia nelle più recenti scelte di Paesi pur caratterizzati da governi di ispirazione politica omogenea. Di fronte alla crisi in atto mentre la risposta francese si è concretizzata in un grande investimento su cultura e ricerca, in Italia si è invece avuto un poderoso taglio dei già scarsi investimenti nei settori appena indicati. E diventa quindi comprensibile il moto di reazione studentesca che, nello scenario di una gioventù condannata ad essere un enorme parcheggio in attesa di una improbabile occupazione stabile, si vede decapitata l’unica speranza di rivalsa individuata, più a ragione che a torto, nello studio e nella innovazione.
C’è quindi bisogno, per costruire una società finalmente in grado di investire seriamente sui propri figli, di uno stretto partenariato fra UE e Stati membri, con una chiara divisione di responsabilità ed una convinta ricerca di sinergie, che nella nuova architettura del Trattato di Lisbona possono trovare la collocazione più idonea. I governi dei Paesi membri a metà ottobre hanno dato prova di intelligenza ed incisività nell’adozione dei provvedimenti necessari a rassicurare i mercati ponendo un argine alla pericolosa deriva che si era prodotta. Ma è del tutto credibile che la fortunata coincidenza della Presidenza di turno francese, con l’autorevolezza di Sarkozy, abbia favorito una inconsueta capacità e rapidità decisionale; il che ha anche favorito una benvenuta “fantasia istituzionale” attraverso l’informale ed efficace attivazione dell’ “Euro-Consiglio” (proiezione a livello di vertice dell’Eurogruppo formato dai ministri delle finanze) al quale si è pragmaticamente aggregato Gordon Brown determinando un maggiore collegamento tra euro e sterlina. Il “super eurogruppo” realizzato sembra così delineare quella proiezione politica delle scelte monetarie e finanziarie da più parti sollecitato considerata l’assenza, nell’Unione europea, di un vero e proprio governo so­vranazionale. Ed è facile desumere da questa circostanza, ad esempio, la grande utilità della introduzione, da parte del Trattato del 2007, della figura del Presidente del Consiglio europeo eletto per due anni e mezzo fra personalità evidentemente dotate di significativa statura politica.
Certo, grandi nodi sono ormai venuti al pettine e la comunità internazionale, con la responsabilità dei singoli Stati che la compongono, non può rinviare ad altra data le necessarie scelte di fondo. È ormai tempo per la definitiva traversata dal vecchio al nuovo secolo, che si annuncia pieno di pericoli ed incognite. In questo traghettamento la nave europea potrebbe costituire un riferimento importantissimo. Se lo volesse e si armasse di maggiore coraggio.
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